Un ostacolo che sembra insormontabile, tant’é lontano, ma sará tra cinque anni e in quel momento non ci pensi. É cosi che immaginavo io allora la maturitá nel lontano 1989, quando iniziai il IV Ginnasio. La stessa splendida architettura dell’edificio impone una reverenda missione o sottomissione ossequiosa allo studio. Quegli studenti, quasi uomini, cinque anni più grandi di te.Per me era quasi un’impresa affrontare il primo anno delle superiori: il liceo Classico, considerata una delle scuole piú difficili, con materie ostiche, quali latino e greco, e a detta degli estranei addirittura materie considerate inutili.
E si sbagliavano, quanto si sbagliavano! Il liceo classico è la scuola che ti prepara di piú per il passo successivo, l’universitá. Il liceo è la scelta piú saggia che uno studente possa fare a mio modo di vedere. Nessuna scuola ti può regalare tanto.
Ho dei ricordi meravigliosi di quella palestra di vita, di quella classe, di quegli anni spensierati che non baratterei mai con gli anni passati poi all’universitá, dove studiai molto di più alla fine ma con molta meno soddisfazione. Quegli anni sono stati unici ed indimenticabili, probabilmente perché, quanto ti senti parte di un gruppo, lo consideri come una famiglia e le difficoltá le condividi e le superi insieme; le ore spensierate in classe, i sotterfugi, le alleanze, quella sana paura e quel brivido prima di ogni interrogazione, sperando a volte invece che ti chiamassero pur di toglierti il peso della materia o addirittura coraggiosamente immolandoti come volontario per salvare tutto il resto della classe. Questo significa sentirsi parte di un gruppo; ma soprattutto il rispetto per i professori. Li prendevamo in giro, si, e lo sapevano. Ma da parte nostra c’era sempre il riconoscimento dell’autorità e del prestigio, il rispetto appunto, non solo professionale ma anche umano. Ancora oggi qualcuno di loro lo sento.
Era un mondo comunque diverso, meno frenetico, piú umano. Mi ricordo i compiti per casa, le versioni di greco, che mi piaceva, e quelle di latino che invece trovavo più ostiche, perché probabilmente non ero in sintonia con la lingua e non riuscivo a tradurle bene; mi ricordo un terribile ed imbarazzante “dal 3 al 4”; indelebile nella mia memoria ricordo vivida la mia reazione verso Elia (il professore), che quasi si sentiva in colpa per quel voto invece meritatissimo: aveva ragione, quanto aveva ragione! Adoravo il greco, più schematico razionale, a volte apparentemente incomprensibile, ma quantomai musicale e in risonanza con la mia mente.
E come non ricordare gli immensi mattoni di Filosofia e Storia; Paolo allora era un professore davvero all’avanguardia per quei tempi, una mente lucida e fervida che ti stimolava a pensare e a metterti in gioco, sviluppando ed argomentando con forza la tua tesi durante l’interrogazione. Lo scopo non era imparare a memoria; vi era piuttosto la grande volontà maieutica di farti ragionare sulle cose insinunadoti il dubbio e stimolandoti ad un pensiero critico che spesso oggi manca o non viene più applicato.
E Italiano? Ricordo poco del programma, davvero poco; paradossale, per quanto avessi un professore singolare nei modi (allora era l’unico a darci del “lei”), la mia memoria ritorna sulle sue splendide lezioni su Dante e la letteratura medievale. Ricordo bene le sue battute e le frasi celebri (le conservo gelosamente nel mio diario del 1992), i suoi modi di fare istrionici, il sottile e velato modo di sfotterci ma senza malizia. Sagace e singolare davvero; Fabio purtroppo non c’è più, ma lo porto sempre nel mio cuore e nei miei ricordi.
E le lezioni di storia dell’arte, meravigliosa materia, che nessuno però ascoltava; che immaturi eravamo. Franco (credo fosse questo il suo nome, non ne sono sicuro però) non interrogava mai, forse due volte all’anno, per giustificare il registro di classe. Quei passi obbligati ed automatici, per noi allora sconosciuti, ma mai come oggi così chiari. A Franco non interessava il meccanicismo coercitivo dell’ambiente scolastico, a lui piuttosto interessava trasmettere il suo amore per l’arte, ma noi non lo capivamo allora. Grande peccato. Di lui ho perso completamente le tracce.
Ricordo poco o nulla del programma di matematica invece ma ricordo benissimo Totò (anche lui purtroppo non c’è più), un mito assoluto, in terza liceo non interrogò mai ne me ne il mio compagno di banco. Lui parlava sempre e solo con noi due che eravamo in primo fila, ma in realtà era un voler parlare a tutta la classe. E’ incredibile come io non ricordi nulla nemmeno di scienze, se non ovviamente la Piera. Forse fu questa carenza che mi portò subliminarmente poi a scegliere Medicina e come ripiego poi Biolgia all’università? me lo sono sempre chiesto, un mistero.
Tutti ricordi indelebili.
Portai greco all’orale: le Baccanti di Euripide ed i suoi meravigliosi musicali esametri:
Ἥκω Διὸς παῖς τήνδε Θηβαίαν χθόνα
Ma cosa capitò allo scritto? ovviamente latino, un autore quasi sconosciuto rispetto ai giganti dell’età classica: Macrobio.
Qui vult amoenus esse consultor ea interrogat quae sunt interrogato facilia responsu, et quae scit illum sedula exercitatione didicisse. Gaudet enim quisquis provocatur ad doctrinam suam in medium proferendam, quia nemo vult latere quod didicit, maxime si scientia quam labore quaesivit cum paucis illi familiaris et plurimis sit incognita, ut de astronomia vel dialectica ceterisque similibus. Tunc enim videntur consequi fructum laboris, cum adipiscuntur occasionem publicandi quae didicerant sine ostentationis nota, qua caret qui non ingerit sed invitatur ut proferat. Contra magnae amaritudinis est, si coram multis aliquem interroges quod non opima scientia quaesivit. Cogitur enim aut negare se scire, quod extremum verecundiae damnum putant, aut respondere temere et fortuito se eventui veri falsive committere, unde saepe nascitur inscitiae proditio, et omne hoc infortunium pudoris sui imputat consulenti.
Non so come andò la traduzione di quella versione, penso fosse assolutamente piatta ed insignificante. Ma l’orale di greco e fisica fu uno degli esami più brillanti che sostenni all’orale.
Non ricordo più se scelsi il tema di italiano:
“Il primo conflitto mondiale si concluse con la disintegrazione di grossi e potenti imperi. Le modifiche radicali intervenute nell’assetto geopolitico generarono tra le nuove potenze rapporti conflittuali, che portarono alla seconda guerra mondiale e che pesano ancora oggi sulla politica europea. Il candidato discuta e sviluppi l’argomento proposto, esponendo le proprie riflessioni.”
o la traccia specifica per il classico:
“Il nostro ordine politico non si modella sulle costituzioni straniere… E il nome che gli conviene è democrazia…Amiamo la bellezza ma con limpido equilibrio; coltiviamo il pensiero, ma senza languori…Dirò in breve che la città nostra è, nel suo complesso, una viva scuola per la Grecia” (Tucidide).
Illustri il candidato il ruolo di Atene nella storia politica e culturale della Grecia, soffermandosi sui tratti caratteristici della sua costituzione, in cui si espressero in maniera originale e irripetibile i fondamentali valori della polis. Dica altresì se un ordinamento civile vincolato alle tradizioni culturali e al costume politico nazionale, come può ritenersi quello del nostro paese, possa essere o divenire pienamente compatibile con lo sviluppo di una entità politica sovrannazionale qual è la Unione europea.
Non me lo ricordo più, che peccato. Mi riprometto di ricercali. Ma ricordo invece la commissione esterna ed il voto in sessantesimi.
Quando vivi questi momenti non ti accorgi in realtá che stai giá crescendo e diventando grande e che quel percorso che cinque anni prima vedevi irraggiungibile rappresenta oggi il traguardo finale che hai appena raggiunto; la maturitá la vivi sin dal primo giorno del Ginnasio. Sembra lontana quella notte prima degli esami, ma arriva, e quando arriva passa purtroppo troppo velocemente.
Che gioia la fine degli esami e l’arrivo dell’estate che sarà lunghissima davanti a te e senza l’obbligo di dover studiare; ma ti pervade anche un’amara e sottile consapevolezza, la malinconia per un periodo della tua giovinezza che finisce; cerco di convincermi che in fin dei conti è solo uno dei tanti passi, ma ho la certezza però che è l’unico che rifarei domani, se potessi. Era il 1994.
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