Dimenticare Darwin?

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Potrebbe invece essere che sul catalogo della natura le quasi-forme fossero già in potenza ma non ancora in atto e quindi espresse?

E’ il titolo, apparentemente un pò provocatorio, di un libro di Giuseppe Sermonti, biologo e saggista italiano di grande fama. Ma se si affronta la lettura senza preconcetti di sorta si capisce bene che lo spirito critico che anima l’autore serve a mettere il lettore di fronte a delle questioni cui solo in parte siamo riusciti a rispondere. I dubbi sono ancora molteplici e né la tanto sostenuta e propagandata teoria di Darwin, né tantomeno la biologia molecolare di quest’ultimo ritaglio del XX secolo, ha ancora risolto ogni dubbio.

Secondo Darwin infatti la forma di un essere vivente sarebbe appunto tale in quanto (dopo varie mutazioni influenzate dall’ambiente circostante all’interno del DNA) prodotto e risultato dell’adattamento a quel tipo specifico di habitat. Ma le quasi forme invece, ovvero le fasi intermedie o forme di mezzo che darebbero poi il risultato della forma finita ed “evoluta”, qualcuno le ha mai viste? Ad esempio, una rondine la conosciamo in quanto tale, con la sua eleganza e la sua leggiadria; ma non abbiamo riscontro in natura o nei fossili di una quasi-rondine. Ovvero di quella forma intermedia che ha portato alla rondine finale, per così dire evoluta.

In realtà gli ultimi due secoli hanno dato moltissima importanza alle parti del corpo di un essere vivente (tipo le ali per gli uccelli, i fiori di rosa per i roseti), ma non abbiamo conto invece del perché gli uccelli abbiano sviluppato le ali ed i roseti i fiori di rosa.

Potrebbe invece essere che sul catalogo della natura queste forme fossero già in potenza ma non ancora in atto e quindi espresse? Potrebbe essere che la natura sia superiore al pensiero finito e limitato dell’uomo e ci prenda quindi in giro abbondantemente?  Il problema del perché le specie differiscano così profondamente tra loro non è un problema di adattamento o utilità. Le differenze eccedono di gran lunga ogni necessità funzionale e sembrano essere piuttosto contrassegni di appartenenza, sfoghi di vita. Pensiamo alle conchiglie dei molluschi, mirabili per forma e geometria. Nei fondali marini però la loro forma ha ben poco senso, nessuno se non l’uomo ci fa caso. Forse è più sensato ipotizzare un Dio che geometrizzi tutto.

E’ uno sfogo di auto-presentazione (Adolf Portmann) anche il canto fine e gioioso di alcuni silvidi, una specie di passeri bruni, che seppure isolati alla nascita o nell’uovo, sviluppano il proprio canto in modo innato senza che nessuno glielo abbia insegnato, persino se sono sordi alla nascita. Ha dell’incredibile verò? Quindi è qualcosa che la natura ha già predisposto nel proprio bagaglio culturale. E questo canto non serve a richiamare la femmina o a difendersi da eventuali predatori, infatti in questi due casi il cinguettio si fa sgraziato e monotono, facendo risuonare i suoni più striduli per farsi sentire, necessità questa si di adattamento all’ambiente circostante.

E per l’uomo la condizione invece qual è? Stando all’orologio molecolare universale, la linea umana si distacca da quella dello scimpanzé, ma l’uomo dal punto di vista chimico è molto meno variato e quindi,  se vogliamo, evoluto di un primate. Infatti nel DNA mitocondriale dell’uomo sono presenti  solo 13 refusi rispetto ai 34 dello scimpanzè. E stessa cosa dicasi per il confronto cromosomiale.

Questo aspetto pone un paletto, un punto fermo, che contrasta ampiamente con la congettura di Darwin: ovvero che l’ascendente comune a uomo e scimmia fosse appunto una scimmia, e che essa sarebbe rimasta ferma nel suo percorso evolutivo mentre l’uomo si era radicalmente evoluto; ecco questa teoria era venuta miseramente a cadere.

Mi accorgo  – conclude nel sesto capitolo Sermonti – che tutto il mio discorrere è permeato da una convinzione: che l’innato debba essere buono, che la sua rivelazione debba essere consolante e lieta come un canto di allodole. Questo mio sentire contrasta con il malumore evoluzionista , secondo cui il ‘’congenito’’ fa subito pensare ad una tara, a un embrione abortito o a una bruttezza primordiale, e scopo della vita e del progresso sia proprio liberarsi dall’obbligo penoso contratto col passato.

Per approfondire

Sermonti G. (2017) Dimenticare Darwin, Nuova Edizione, Città di Castello, Il Cerchio srl.

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