La sua figura verrà sempre ricordata come il martire che si è immolato in nome della libertà di pensiero e di azione contro il potere costituito
La storia di Fra Dolcino nasce nel basso medioevo, agli inizi del 1300 circa e si alimenta nel corso dei secoli fino a diventare ai giorni nostri un vero e proprio mito che fa di questo frate un simbolo di libertà. Un mito che diventerà leggenda ai giorni nostri. Quello di oggi non vuole essere un post sulla vita e le vicende di Dolcino, che in parte riprenderemo nel corso del post. In rete potete trovare infatti moltissime risorse sull’argomento.
Piuttosto l’esperimento che voglio fare oggi è quello di inquadrare il personaggio all’interno del periodo storico in cui visse e cercare di capire le motivazioni che lo spinsero nella sua predicazione.
La cosa che senza dubbio balza all’attenzione è anche la particolare menzione che Dante fa nell’inferno riguardo ad un personaggio ancora in vita, indice del fatto che la battaglia che Dolcino sta portando avanti ha fatto breccia nel cuore della gente (i suoi seguaci arrivarono a quattromila unità) e può minare seriamente la base del sistema e
l’ordine costituito, quello della Chiesa Cattolica appunto:
«Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve, s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve»
Gli ideali e la predicazione
La vera forza del predicatore era infatti nei valori e negli ideali che propugnava. Dolcino si rifaceva al Vangelo, ad una visione, se vogliamo integralista, dello stesso. In cui la Chiesa ed i suoi rapprensentanti dovevano essere poveri, né avere possediementi terreni. Come sappiamo invece l’immenso potere della Chiesa era per lo più costituito dai beni materiali, lasciti di donazioni e di conquiste di guerre e spedizioni come le crociate. Insomma potremmo definire Dolcino come un socialista
ante-litteram, un uomo che univa la povera gente, cui dava la speranza di un riscatto terreno ma soprattutto divino.
Ma non erano solo questi i punti cardine del suo messaggio, vi rientravano anche la relazione personale e diretta con Dio, a patto che si vivesse in povertà, e quindi l’inutilità di un qualsiasi rappresentante del clero che in qualche modo potesse fornire una visione interpretativa del Vangelo. Il rifiuto di qualsiasi gerarchia ed una spartizione comune dei beni, nonchè l’uguaglianza tra uomini e donne. Messaggi insomma che sono tutt’oggi assolutamente attuali.
Ricordiamo che Dolcino, al secolo Davide Tornielli, raccolse le eredità di Gherardo
Segarelli, a capo del movimento degli Apostolici, condannato come eretico e poi bruciato sul rogo a Parma il 18 luglio del 1300.
Le quattro lettere
A differenza del suo predecessore Segarelli, fondamentalmente illetterato, Dolcino era un uomo colto ed educato alle lettere, tant’è che nella sua attività di lotta contro il potere spirituale scrisse di suo pugno ben quattro lettere in cui sosteneva le sue idee di libertà e ribellione nei confronti di una Chiesa che sembrava più impegnata ad accumulare ricchezze terrene che a salvare le anime dei suoi fedeli. E’ qui che si impernia il vero spirito socialista di Dolcino, sostiene e propugna un’idea di libertà ed uguaglianza anche con l’uso della violenza nei confronti del clero. Violenza che poi sfocerà anche in rapine ed razzie nei confronti di normali cittadini in tempi di carestia
e di fame.
Se la prima lettera (probabilmente spedita da Ferrara dopo la sua fuga da Parma in seguito al rogo di Segarelli) aveva più un carttere profetico, fu nella seconda sua epistola che pose le basi per una struttura gerarchica del suo movimento degli Apostolici; nominò infatti come suoi luogotenente la compagna Margherita, Longino da Bergamo, Alberto Carentino, Valderico da Brescia e Federico da Novara.
La caduta
Ma la fortuna cominciò volgere le spalle anche a Dolcino. Se in un primo momento infatti le popolazioni della Valsesia nutrivano una certa indifferenza mista a simpatia per i dolciciniani arroccati su Monte Parete Calva, in seguito nei loro confronti si diffuse sempre di più un’atteggiamento di ostilità allorquando Dolcino cominciò a rapinare e saccheggiare le popolazioni del luogo vista la scarsità di cibo durante il periodo invernale. A questo si aggiungeva anche il timore e la paura dei valligiani di essere scoperti ed incriminati di collaborazionismo per aver dato rifugio o aiutato il suo movimento. Il rigido inverno non permise a lungo ai suoi di mantenere la posizione sulla Parete Calva, ormai scarseggiava tutto e non vi era più alcun tipo di sostentamento.
Era giunto dunque il momento di partire ancora: alle soglie della primavera del 1307 fece rotta per Biella e qui si concluse il suo peregrinare giungendo sul Monte Rubello, impervio per natura e destinato ad essere l’ultima roccaforte dell’eresiarca.
A questo punto entra in gioco la figura strategica del vescovo di Vercelli, nominato quattro anni prima nel 1303, Raniero Avogadro che Dante definì il “noarese” nel XXVIII canto dell’inferno, didicato agli scismatici. Fu l’Avogadro che tenne in scacco ed assediò Dolcino ed i suoi accoliti fino alla resa nel marzo del 1307. Furono catturati vivi il sabato Santo e condotti a Biella dal vescovo che rimase in attesa del verdetto di papa Clemente V (lo stesso papa che soppresse anche l’Ordine dei Templari) che con queste parole annunciò la cattura dell’eretico a Filippo IV re di Francia, detto Filippo il Bello:
“Ci sono giunte notizie graditissime, feconde di gioia ed esultanza, perché quel demone
pestifero, figlio di Belial e orrendissimo eresiarca Dolcino, dopo lunghi pericoli, fatiche,
stragi e frequenti interventi, finalmente coi suoi seguaci è prigioniero nelle nostre carceri, per
opera del nostro venerabile fratello Raniero, vescovo di Vercelli, catturato nel giorno della
santa cena del Signore, e la numerosa gente che era con lui, infettata dal contagio, fu uccisa
quel giorno stesso.“
Dolcino e Margherita
Dolcino viene spesso ricordato in coppia per la sua compagna Margherita, al secolo Margherita Boninsegna, una fanciulla di nobili origini, figlia della contessa Oderica di Arco. Innamoratissima di Dolcino e convintissima nei suoi ideali seppe ella stessa tenere testa durante il primo assedio e la sua figura fu cruciale per la fuga verso il monte Rubello dove poi cadde insieme a tutti gli Apostolici sotto l’attacco sferrato dalle truppe inviate dall’Avogadro.
La tortura ed il supplizio
Il 1 giugno 1307 vennero condannati a morte (la sentenza di condanna da parte della Santa Inquisizione a noi non è mai pervenuta e formalmente non esiste come documento storico) ma prima dell’esecuzione della sentenza vennero esposti come monito al pubblico per essere torturati.
Si narra infatti che vennero issati su un carro, legati in catene mani e piedi, e torturati dal sadico piacere della folla trasformata all’uopo in carnefice. Uomini e donne erano così autorizzati ad ogni sosta del carro a strappare ai condannati lembi di carne con tenaglie arroventate su tizzoni ardenti. Uno strazio volutamente esagerato il cui fine ultimo era il monito per la comunità a non intraprender le stesse azioni del gruppo di eretici. Margherita, la sua compagna oii venne bruciata per prima davanti agli occhi di Dolcino che rimase impassibile ed imperturbabile. Le cronache narrano anche che durante il supplizio e la tortura Dolcino non emise alcun lamento se non un flebile mugolio quando gli strapparono il pene ed un riflesso muscolare quando gli amputarono il naso. Venne anch’egli poi bruciato sul rogo e le sue ceneri sparse al
vento.
Il cippo in sua memoria
Il mito del frate condannato come eretico dalla Chiesa Cattoloca è destinato a diventare oggi leggenda e rimanere nei secoli tantochè gli fu dapprima dedicato un obelisco nel 1907 dalla comunità di Valsesia e Biella che venne poi distrutto da un manipolo di fascisti una ventina di anni dopo. Ma nello stesso luogo il 15 settembre 1972 venne inaugurato il nuovo cippo ad opera di Giovanni Buratti alla cui inaugurazione parteciparono anche Dario Fo e Franca Rame e circa diecimila persone.
Il messaggio di Dolcino
Il messaggio che ci ha lasciato in eredità Fra Dolcino è sicuramente l’anelito di libertà che mette al centro l’uomo. Una rivincita contro il potere costituito corrotto, contro un sistema soverchiante, quello della Chiesa, incapace ormai di rendere conto della missione cui era stata chiamata fin dalle origini. Per quanto egli abbia sbagliato e peccato con l’uso della violenza nei confronti del clero e di comuni cittadini nella storia egli verrà sempre ricordato come il martire che si è immolato in nome della libertà di pensiero e di azione contro il potere costituito e contro il pensiero unico dominante dell’epoca.
Immagini: wikipedia
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