Ripensare completamente al proprio modo di vivere il digitale dovrebbe diventare ormai un obbligo quasi imprescindibile per chiunque.Viviamo ormai perennemente connessi al nostro smartphone (io stesso ora sto scrivendo da questo device) e siamo ormai talmente assuefatti che l’eventuale dimenticanza o inaccessibilità alla rete ci crea enormi disagi, insofferenza ed ansia. Un tipico comportamento che definire sociopatologico é riduttivo. E questo aspetto si riverbera ancor più nelle nuove generazioni, i cosidetti nativi digitali.
La domanda è
semplice e banale ma la risposta è disarmante: chi potrebbe oggigiorno fare a
meno del telefonino diciamo per più di due/tre ore? Nessuno, solo chi non ha
mai usato o posseduto uno smartphone. Esso crea dipendenza forzosa senza che
nemmeno ce ne accorgiamo. Agiamo incosapevolmente e freneticamente anche in
assenza di segnali di allerta. Ovvero anche quando il telefonino non suona noi
compulsivamente lo prendiamo, lo sblocchiamo e controlliamo posta, social
network e quant’altro.
A questo si affianca anche un’altro problema, spesso sottovalutato: la cessione
consapevole o parzialmente inconsapevole dei nostri dati. Questa contribuisce
in maniera inesorabile a renderci tutti etichettati e profilati in enormi
database, i cosidetti BigData. Cluster enormi di dati che seppur in forma
anonima sarebbero in grando di influenzare i nostri comportamenti; ma allora
dobbiamo arrenderci inesorabilmente a questo futuro sconcertante o possiamo
trovare una soluzione? Una, utopistica, sarebbe la conversione in massa verso
un luddismo di digitale, impraticabile; soprattutto per i nativi digitali, ma
anche per noi non più giovani. Altro invece sarebbe prendere coscienza della
realtà ed usare razionalmente questi device con senso critico.
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