L’infinito, rivisitazione personale

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Vorrei per una volta trasgredire tutte le buone regole di parafrasi e semplicemente dare un’interpretazione estremamente personale di ciò che questa poesia trasmette nell’immediato. Non vi è alcuna elaborazione, nessuna parafrasi, è solo un esercizio di stile e rielabarazione delle sensazioni che il pezzo trasmette nell’immediato.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

L’affetto per un luogo percepito come proprio, intimo e personale, una piccola collina che per Leopardi significa casa. Condizione ideale per sentirsi a suo agio. La siepe poi che funge da confine, non in senso prettamente fisico, ma soprattutto metafisico e spirituale.

Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete

Mi immagino il poeta seduto ed immerso in quella pacifica e tranquillissima campagna, me l’immagino in tarda primavera o all'inizio dell'estate, con il grano pressochè maturo a metà o fine giugno; una campagna lontana da quella che conosciamo oggi noi, senza rumore se non quello della natura. Non esistevano aerei, ne mezzi agricoli che potessero rompere il silenzio misitico generato dalla quiete profondissima. Tant’è che Leopardi parla di silenzi sovra-umani, metafisici appunto.

io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei.

E comincia la meditazione, l’avventura nella fantasia; comincia ad immaginare l’infinito ed il suo animo, prendendone coscienza, quasi si spaventa. Ed ecco che la natura impersonificata dal vento rompe il silenzio e fa sentire la sua voce. Allora Leopardi quasi ritorna in se e compara il piano fisico con quello metafisico, il naturale con il sovranaturale, e appunto sovvien l’eterno. E’ proprio il ritorno da questo stato di trance che permette al poeta di comparare la natura fisica e reale con quella trascendente metafisica ed intangibile. Che solo lui riesce a cogliere.

…………………  Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

E l’immensità di questa sensazione fa si che si egli ritorni ad annegarsi nel mare dell’immaginazione sconfinata ed infinita e lo riempie di una sensazione dolcissima che contrasta con il signficato negativo del naufragio, tant’è che esso diventa addirrittura dolce.

Personalmente non colgo nessun pessimismo in questa poesia, tutt’altro. E’ un inno alla gioia, alla condizione di piacere e benessere che Leopardi prova raggiungendo un piano di contemplazione metafisica che riesce a raggiungere solamente tramite la sua siepe ed il colle solitario che la ospita.

L'importanza della scrittura

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In uno spazio infinito, senza limite, e nemmeno ipoteticamente calcolabile, stiamo sempre più perdendo la capacità di usare la nostra memoria, per affidarla a delle macchine depensanti. Nella sempre più invasiva età contemporanea digitale abbiamo quasi completamente compromesso o perso l'uso e la manualità del saper scrivere o semplicemente del prendere appunti. Almeno nel mio caso, non essendo più "costretto" a scrivere con la penna, sto giornalmente disimpardo a farlo, la mia grafia é pessima, per non parlare ormai del fatto che quasi non riesco a rileggere ciò che ho scritto.

Sembra banale ma sono pressochè convinto che di questo passo l'uomo perderà sempre di più la propria capacità di scrittura. La calligrafia é un'arte, ma se non viene continuamente e meticolosamente coltivata essa degenererà sempre di più verso una grafia abbozzata, improvvisata ed incomprensibile, per approdare inesorabilmente ad una disgrafia. Sarà magari possibile che nel corso della nostra evoluzione svilupperemo sempre di più la parte tattile per interagire con la tastiera dello smartphone oppure metteremo a punto sistemi di scrittura mentali od oculo-guidati. Chissà? Certo è che la sublime arte calligrafica rimarrà sempre di più appannaggio di pochi cultori, che riusciranno ad emozionare con alcune righe magistralmente vergate.

Fa quasi tenerezza vedere che durante il medioevo molti libri venivano ancora tramandati oralmente, specialmente dai più eruditi (vedi Salimbene de Adam) e spesso alcuni libri venivano cancellati dalle vecchie pergamene per lasciare spazio ai libri più nuovi che cominicavano a circolare con più frequenza in Europa. Lo spazio allora era limitato ma la memoria e la scrittura riuscivano sapientemente a tramandare la conoscenza.

Oggi invece in uno spazio infinito, senza limite, e nemmeno ipoteticamente calcolabile, stiamo sempre più perdendo la capacità di usare la nostra memoria, per affidarla a delle macchine inanimate; e di pari passo la scrittura sta cedendo inesorabilmente il passo alla omologata ed esanime digitazione su di una tastiera o peggio ancora su di uno smartphone.

Ripensare il digitale

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Ripensare completamente al proprio modo di vivere il digitale dovrebbe diventare ormai un obbligo quasi imprescindibile per chiunque.Viviamo ormai perennemente connessi al nostro smartphone (io stesso ora sto scrivendo da questo device) e siamo ormai talmente assuefatti che l’eventuale dimenticanza o inaccessibilità alla rete ci crea enormi disagi, insofferenza ed ansia. Un tipico comportamento che definire sociopatologico é riduttivo. E questo aspetto si riverbera ancor più nelle nuove generazioni, i cosidetti nativi digitali.

La domanda è semplice e banale ma la risposta è disarmante: chi potrebbe oggigiorno fare a meno del telefonino diciamo per più di due/tre ore? Nessuno, solo chi non ha mai usato o posseduto uno smartphone. Esso crea dipendenza forzosa senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Agiamo incosapevolmente e freneticamente anche in assenza di segnali di allerta. Ovvero anche quando il telefonino non suona noi compulsivamente lo prendiamo, lo sblocchiamo e controlliamo posta, social network e quant’altro.

A questo si affianca anche un’altro problema, spesso sottovalutato: la cessione consapevole o parzialmente inconsapevole dei nostri dati. Questa contribuisce in maniera inesorabile a renderci tutti etichettati e profilati in enormi database, i cosidetti BigData. Cluster enormi di dati che seppur in forma anonima sarebbero in grando di influenzare i nostri comportamenti; ma allora dobbiamo arrenderci inesorabilmente a questo futuro sconcertante o possiamo trovare una soluzione? Una, utopistica, sarebbe la conversione in massa verso un luddismo di digitale, impraticabile; soprattutto per i nativi digitali, ma anche per noi non più giovani. Altro invece sarebbe prendere coscienza della realtà ed usare razionalmente questi device con senso critico.

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