Il giardino dei Finzi-Contini

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E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire, di esse, appunto, e non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare. 

Termina così l’ultimo capito del romanzo di Bassani, Il Giardino dei Finzi-Contini. L’ho finito di leggere proprio ieri notte. Non ricordo quanti anni fa lo lessi o forse tentai di farlo, ma di sicuro  distrattamente, al liceo. Ma rileggerlo oggi a distanza di tempo, con matura consapevolezza, conferisce alla narrazione una profondità considerevole. Non voglio tornare sulla trama del romanzo che, per quanto triste possa essere, rappresenta la realtà storica di un momento di passaggio, difficile e tragico per l’Italia, esposta all’ignominia e all’onta delle leggi razziali cui però fa da contrappunto la reazione e la caparbietà di alcuni ragazzi ebrei della borghesia ferrarase di reagire ai cambiamenti in atto creandosi un mondo tutto loro in cui confinarsi e rinchiudersi, una sorta di guscio protettivo rappresentato dal giardino magnifico che ospita un altreattanto “improvvisato” campo da tennis. Il giardino appunto, che rappresenta il continuo e mutevole divenire, idealizzato allo spasmo dal protagonista di cui non conosciamo nemmeno il nome. Un giardino che ospita una casa ed un amore idealizzato, quello per Micol Finzi-Contini, che però non sarà mai corrisposto in toto. Sarà proprio questo amore in parte misconosciuto che alimenterà sempre di più l’idealizzazione di Micol, bella colta intelligente, ma allo stesso tempo irraggiungibile, la ragazza ideale per la quale tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo perso la testa.

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