Mettere l'uomo al centro, non le merci

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E’ singolare considerare come in un mondo iperglobalizzato ed iperconnesso stiamo vivendo una situazione paradossale che ci fa quantomai apprezzare l’isolamento più completo, non digitale s’intende. C’era da aspettarselo, ma tutti eravamo convinti che qui il coronavirus sarebbe arrivato solo marginalmente. Era relegato nell’estremo oriente. Ricordo ancora le prime notizie in radio sul tema, ancora misconosciuto; facevano leva sull’atmosfera surreale che si respirava in quei giorni di inizio anno a Wuhan, dove le persone erano letteralmente segregate in casa e non potendo uscire si parlavano di notte tra un palazzo e l’altro. Come succede nella vicina Venezia. Ed invece, ad oggi,  in meno di 72 ore i contagi sono arrivati improvvisamente a 113 in Italia: il paese più colpito di tutta l’Unione Europea.

Ormai credo sia tardi, ed ogni misura restrittiva comunque si dimostrerà tardiva per tentare di contenere un’infezione che assume sempre di più i contorni di una pandemia mondiale. Sperando che comunque le misure restrittive possano servire a qualcosa, è palese che ormai la fobia impera sovrana e continuerà a farlo più se ne parlerà, è connaturato alla natura umana.

Pensiamo però alle conseguenze che questo potrebbe portare: scuole ed università chiuse, manifestazioni pubbliche sospese, assembramenti pubblici e privati proibiti. Misure che assolutamente condivido e mi sentirei addirittura di estendere al blocco totale di tutte le attività pubbliche e private di natura commerciale per un mese e più nel tentativo almeno di isolare gli eventuali casi latenti. Praticamente il collasso di un paese, almeno in termini produttivi, ma questo francamente importa ben poco quando si tratta di salute pubblica. A mio parere si sarebbero dovute chiudere subito tutte le frontiere ed impedire qualsiasi transito di persone  in entrata ed uscita almeno da un mese, se non altro dai primi di gennaio (e forse era già troppo tardi).

Stiamo vivendo una situazione che non è paragonabile rispetto invece a quanto vivemmo nel 1986 con Chernobyl. Quella era una condizione che non si poteva controllare ed arginare, neanche volendo, e purtroppo comunicata con grande ritardo dall’Unione Sovietica.

Qui invece le misure si sarebbero forse potute prendere con largo anticipo, ma è evidente che non è stato fatto.

Cerchiamo di vedere il lato positivo di tutta questa condizione cercando di mettere al centro l’uomo e non le merci, cioè noi stessi e considerando che l’economia ed i mercati non possono in nessun modo venire prima della salute umana, ma ad essa dovrebbero essere funzionali.

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